Non pretendiamo di poter chiarire o spiegare, né desideriamo compiacere. Miriamo a disfare e rifare: a fare sbagliando, piuttosto. Ci preme tendere il linguaggio alla sua massima estensione, sino a romperne le strutture, contro le formule logore della critica, il sovraccarico verbale, il citazionismo compiaciuto.
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