Ancora ignota, l’associazione di idee si insinua fin dall’ingresso nella sede milanese di kaufmann repetto. Nella prima sala, essa nasce come stupore, di fronte al basamento totalmente trasparente; cresce sotto forma di stranezza, in basso, rispetto al quadro collocato a un’altezza incongrua; matura poi in spaesamento, quando si segue la parete d’angolo che, per circa un metro, prolunga in altezza il piano di calpestio.
Read moreChi scrive ritiene, come molti prima di lei, che non sia possibile fare storiografia senza critica. Allo Stranieri Ovunque di Adriano Pedrosa chi si occupa di storiografia risponde con un proclama meno modaiolo, altrettanto essenzialista, più onesto: anacronici sempre. C’è qualcosa di perverso nel sedersi alla propria scrivania e aprire tutte le mattine, come secondo un rito, dal proprio MacBook Pro un giornale di cento anni fa.
Read moreOggi, come forse mai accaduto prima, interrogarsi sull’attualità di Angelico credo significhi fare i conti con il pensiero in quanto campo del discorso. Significa ingaggiare un corpo a corpo con le strutture di questo discorso e con la scrittura come mezzo attraverso cui smantellarle, negoziarle, costruirle. Forse sorprendentemente, o piuttosto in maniera del tutto prevedibile, impone di prendere posizione. E scendere in campo.
Read more“Verrebbe la voglia di dire, iniziando un articolo come questo, che la nuova arte italiana non esiste ancora”. Iniziava così il primo articolo di Francesco Bonami su “Flash Art”, con una citazione di Gregorio Magnani tratta da un testo pubblicato su “Arts Magazine” nell’aprile 1989. E verrebbe la voglia di iniziare questa recensione allo stesso modo, perché dopo aver visitato Fantastica, la 18° Quadriennale di Roma, si ha l’impressione che artisti e curatori italiani vivano in un continuo slittamento temporale, in una sorta di interminabile postmodernità che li costringe a ricordare, a citare, a ritornare costantemente sugli stessi sentieri.
Read moreNon pretendiamo di poter chiarire o spiegare, né desideriamo compiacere. Miriamo a disfare e rifare: a fare sbagliando, piuttosto. Ci preme tendere il linguaggio alla sua massima estensione, sino a romperne le strutture, contro le formule logore della critica, il sovraccarico verbale, il citazionismo compiaciuto.
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